La Federazione Il Jazz Italiano ha intervistato il fisarmonicista, organizzatore e direttore artistico del Moncalieri Jazz Festival e uno dei tre direttori artistici della edizione 2024 de Il jazz italiano per le terre del sisma Ugo Viola. Nel 1968 Ugo Viola inizia lo studio della fisarmonica e fin da subito partecipa a concorsi nazionali e internazionali raccogliendo primi premi. Nel ’79 sbaraglia la concorrenza vincendo l’ultima puntata della trasmissione radiofonica Rai “La Corrida” condotta da Corrado. Dal ’98 partecipa, ogni anno, alle manifestazioni internazionali “Pavarotti & Friends” accompagnando il tenore e cantanti come Ricky Martin, Anastacia, Grace Jones, B.B. King, Barry White, Bono e gli U2, i Queen, Gianni Morandi, Fiorella Mannoia e Renato Zero, consolidando la collaborazione con il Maestro e l’Orchestra Sinfonica Italiana. È, inoltre, il fondatore e direttore artistico del Moncalieri Jazz Festival, una delle più importanti rassegne jazz in Italia.

Come ti sei avvicinato allo studio della fisarmonica?
Sono entrato nel mondo della musica grazie a mio papà Orlando. Lui suonava da autodidatta la chitarra e la fisarmonica, ha trasmesso questa passione a me e ai miei due fratelli Dario e Marco. Il primo ha iniziato a suonare la fisarmonica a tastiera, il secondo invece, nonostante oggi sia un violinista di professione, ha iniziato suonando la chitarra; io per differenziarmi ho scelto la fisarmonica cromatica a bottoni, di cui mi aveva subito catturato il suono e il modo di suonare. All’età di 7 anni ho iniziato a prendere lezioni dal maestro Ezio Saravalli a Torino e mi sono appassionato sempre di più a quest’arte, tanto da farla diventare la mia professione, oltre che passione. A soli 16 anni ho iniziato a dare le prime lezioni di strumento, per poi specializzarmi anche in propedeutica musicale per bambini, sino ad arrivare ad aprire la mia prima scuola di musica. Ho sempre sentito l’esigenza di trasmettere emozioni con la musica, sia con le lezioni che con i concerti. Forse è proprio grazie a questa spinta che sono arrivato sino a qui, a ricoprire una veste non solo di musicista, ma anche di organizzatore di Festival.

Da quale esigenza è nato il festival Moncalieri Jazz di cui sei direttore artistico?
Negli anni 90 ho iniziato la mia veste di organizzatore creando una stagione di musica classica nella mia Città, mi sono però poi reso conto che a Moncalieri mancava un Festival di musica jazz, genere musicale da me sempre amato, e novembre era un mese piuttosto tranquillo dal punto di vista degli eventi a Torino e provincia. Così nel 1998 ho dato inizio alla prima edizione del Festival, insieme ad uno dei miei insegnanti della mia scuola di musica Valerio Signetto, a mio fratello Marco violinista e l’anno successivo anche con Toni Lama, all’epoca già conosciuto per aver portato in Italia “i grandi del jazz”. Abbiamo iniziato con una beve rassegna di 2 serate e siamo arrivati oggi ad organizzare la 27esima edizione dalla durata di 15 giorni, fitti di eventi in teatro, per le vie della Città, nei locali, nelle scuole e nelle strutture sanitarie. Sapere che ormai i moncalieresi, i torinesi e non solo, attendono questo evento, per me è una grande soddisfazione.

Sei uno dei tre direttori artistici de Il jazz italiano per le terre del sisma 2024:come ti trovi a lavorare in sinergia con Francesco Diodati e Gabriele Mitelli?
La nostra non poteva essere una triade migliore: si è percepita fin da subito un’aria frizzante ed eterogenea fra di noi. Tre generazioni diverse, che si sono però trovate in sintonia sulle idee e sui progetti. Ognuno di noi compensa gli altri due, dal punto di vista delle energie, delle proposte e del diverso taglio jazzistico da dare ai vari eventi da portare in scena a L’Aquila… Poi …. abbiamo tutti e tre la barba e soprattutto, tutti e tre in un modo o nell’altro siamo legati alla Calabria: io ci sono nato, Francesco ha lì le sue origini e Gabriele invece ci vive attualmente con la sua famiglia. Abbiamo formazioni diverse alle spalle, io fisarmonicista e Direttore Artistico del Moncalieri Jazz Festival, Francesco chitarrista e docente di conservatorio, Gabriele trombettista e anche lui docente di conservatorio, ma il nostro diverso background ha permesso la creazione di una programmazione ricca e completa che racchiude tutte le sfaccettature del jazz.


Cosa rappresenta per te L’Aquila?
Io posso dire di aver vissuto e frequentato il jazz a L’Aquila da quando è nato, ogni anno come volontario e responsabile di palco, in quanto membro di I-Jazz. Ho visto l’evoluzione e la ricostruzione della Città, in cui si è passati dal suonare fra i ruderi e le macerie all’inaugurare luoghi appena ricostruiti. E’ per me un grande onore essere stato nominato uno dei Direttori Artistici proprio in occasione del decennale del Jazz Italiano per le Terre del Sisma.


Come ci stupirete con il programma di questa tanto attesa decima edizione?
In virtù dell’eterogeneità del nostro trio di organizzatori, il programma quest’anno spazierà davvero attraverso tutti i mondi del jazz. Non voglio anticiparvi nulla, ma sicuramente posso dirvi che io amo le ricorrenze e gli anniversari…che anche quest’anno non mancheranno. Posso anche dirvi che ci saranno progetti nuovi con brani inediti creati appositamente per questa edizione. Saranno sicuramente coinvolte le realtà del territorio (le scuole, il conservatorio, musicisti locali), parte attiva sul palco insieme ad artisti di chiara fama. Quest’anno non sarà portata in scena solo la musica, bensì saranno coinvolte anche altre arti, come la letteratura, la danza, il cinema , il teatro, che si mescoleranno con i suoni del grande jazz.


Quale contributo apporta la musica jazz a livello sociale?
La musica è da sempre, con il suo linguaggio universale, simbolo di aggregazione…fra persone, etnie, e popoli. Il jazz in particolare, è il genere musicale che ha avuto più mescolanze culturali. Essendo un genere basato sull’improvvisazione, non ha bisogno di molte prove o legami pregressi, ma unisce musica e anime anche sconosciute, istintivamente sullo stesso palco. Sempre di più poi, negli ultimi anni, anche nel mio Festival a Moncalieri, mi sono dedicato a vedere il jazz come strumento di cura e benessere, per patologie o malesseri, perché il jazz è di tutti e per tutti.

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